La quiete dopo la tempesta e prima dell’uragano
Dietro la tregua si nasconde una nuova tempesta. Ecco perché l’economia americana traballa e fra 90 giorni potrebbe ripartire l’escalation
Nonostante la tregua di novanta giorni sancita nei colloqui di Ginevra, l'attuale configurazione dei dazi americani resta la più aggressiva mai registrata negli ultimi novant’anni. Le prospettive inflazionistiche non sono confermate soltanto dalle preoccupazioni della Federal Reserve, ma anche dalle prime rilevazioni dei prezzi al dettaglio di aprile e dalle dichiarazioni di imprese e associazioni di categoria.
Il caso Walmart è rivelatore: l'azienda ha ripetutamente segnalato che dazi più elevati sulle importazioni si tradurranno presto in prezzi più alti per i consumatori. In un’intervista alla CNBC, il Chief Financial Officer John David Rainey ha dichiarato: “Siamo soddisfatti dei progressi compiuti dall’amministrazione sui dazi rispetto ai livelli annunciati all’inizio di aprile, ma restano comunque troppo alti”, aggiungendo che “Walmart è strutturata per garantire prezzi bassi tutti i giorni, ma l’entità di questi aumenti è tale da non poter essere assorbita da nessun rivenditore”.
La reazione di Trump non si è fatta attendere. Questo è stato il suo commento su Truth Social:
It’s crony capitalism, baby
Walmart ha dei margini di profitto particolarmente bassi, e la Casa Bianca non ha davvero intenzione di eroderli ulteriormente chiedendo alle aziende di assorbire il peso dei dazi. Uno degli obiettivi dichiarati della politica tariffaria è infatti favorire una anacronistica rinascita della manifattura statunitense, rendendo meno competitive le produzioni estere. Ma se il prezzo dei beni importati — e di quelli domestici che utilizzano input importati — non aumentasse, i consumatori americani non avrebbero alcun incentivo a sostituirli con alternative interamente made in USA. In tal caso, i dazi sarebbero del tutto inefficaci.
Del resto, le politiche fiscali di Maganomics non mostrano alcun riguardo per i consumatori che tipicamente fanno acquisti da Walmart, poiché favoriscono una redistribuzione del reddito dai poveri e dalla classe media alle imprese e alle élite, attraverso l’estensione del Tax Cuts and Jobs Act (TCJA) e i tagli brutali alla spesa per il welfare previsti nel Big Beautiful Bill.
Dal punto di vista economico, l’invettiva di Trump contro Walmart non ha quindi alcun senso. Serve piuttosto a preparare dei capri espiatori da additare al pubblico quando la grande maggioranza degli americani si renderà conto di aver perso potere d’acquisto. E anche a lanciare un chiaro segnale alle grandi imprese: da Walmart ad Amazon, il presidente si aspetta lealtà e complicità totali. Chi desidera mantenere il favore del sovrano, non deve spiegare pubblicamente le vere cause dell’aumento dei prezzi — ovvero le politiche scellerate del sovrano stesso — ma negoziare esenzioni ad hoc in cambio di sostegno politico e finanziario. It’s crony capitalism, baby.
Zero accordi
Il peggioramento del quadro macroeconomico non è temporaneo. La guerra commerciale è tuttora in corso e non se ne intravede la fine. Stati Uniti e Cina non hanno raggiunto alcun accordo. Pechino finora ha ribattuto colpo su colpo senza scomporsi, e la Casa Bianca è stata costretta a ritrattare di fronte a un avversario troppo forte per essere intimidito. Dunque, a cosa è servita la pantomima dei dazi, e cosa dobbiamo aspettarci alla scadenza della tregua? Se la Cina non si è piegata davanti a dazi del 145%, non si comprende per quale motivo dovrebbe farlo adesso, dopo che quei dazi sono stati ritirati, rivelando la debolezza negoziale degli Stati Uniti. A meno che Trump non decida di cedere su tutta la linea, è plausibile aspettarsi un ritorno dell'escalation, con nuove sanzioni ancora più severe nella speranza di costringere Pechino a trattare. Il Segretario del Tesoro Scott Bessent lo ha affermato esplicitamente.
Ciò che è certo è che finora la presunta art of the deal del presidente si è rivelata un fallimento, procurando agli Stati Uniti umiliazioni in ogni ambito, dall’economia alla politica internazionale. Justin Wolfers (University of Michigan) si è divertito a rappresentare graficamente gli accordi conclusi finora dalla Casa Bianca:
Dall’insediamento a oggi, la linea di tendenza che rappresenta il numero di accordi conclusi nel tempo coincide con l’asse delle X: finora, sono stati conclusi zero accordi.
I consumatori si preparano per la redistribuzione al contrario
Complessivamente, i segnali trasmessi dalla Casa Bianca inducono al pessimismo. Se da un lato la tregua con la Cina ha offerto un sollievo temporaneo, dall'altro le dichiarazioni bellicose di Trump e il clima da guerra fredda con il resto del mondo (Russia esclusa) mantengono l'incertezza a livelli stratosferici. Le imprese rimandano gli investimenti, i consumatori rinviano l’acquisto di beni durevoli.
Dal punto di vista macroeconomico, i segnali d'allarme si moltiplicano. In Cina, i consumi al dettaglio sono in calo e rischiano di raffreddare la domanda mondiale. Anche in Europa le prospettive si sono deteriorate: la Commissione ha rivisto al ribasso le previsioni di crescita del PIL per il 2025, dall'1,3% allo 0,9%.
Negli Stati Uniti, la fiducia dei consumatori è in caduta libera da cinque mesi. Le famiglie hanno intuito che l’inflazione e la disoccupazione si apprestano ad aumentare - si veda, per esempio, questo grafico sulle aspettative di disoccupazione tratto dall’indagine sulla fiducia dei consumatori dell’Università del Michigan - e sembrano anticipare gli effetti della grande redistribuzione al contrario innescata dall'amministrazione.
I dazi sono fortemente regressivi e ridurranno sensibilmente il potere d’acquisto dei consumatori, come ho spiegato qui. Ma il One Big Beautiful Bill Act (OBBBA), che Trump spera di finanziare anche con il gettito dei dazi, peggiorerà ulteriormente la situazione. Il progetto di legge prevede l’estensione il TCJA, che riduce le tasse in modo simbolico per i meno abbienti e in misura significativa per il 20% più ricco, con benefici concentrati sull'1% più ricco. In più prevede tagli drastici alla spesa sociale, come la soppressione dell'assistenza sanitaria gratuita per ampie fasce della popolazione.
Non solo si erode il potere d’acquisto dei poveri e della classe media attraverso l’inflazione causata dai dazi. Non solo si approvano tagli fiscali che privilegiano i ricchi. Ma per finanziarli (parzialmente) si colpiscono i ceti più vulnerabili compromettendo la tutela della loro salute.
Paul Krugman (che scrive uno dei Substack più interessanti in circolazione) ha riassunto così la portata estrema del provvedimento:
“Il TCJA ha offerto grandi tagli fiscali ai più ricchi, ma anche qualche briciola al resto della popolazione. Il nuovo disegno di legge, al contrario, infliggerà un danno immenso al 40% più povero, soprattutto al 20% più indigente. Per capire quanto sia estremo questo provvedimento legislativo, basta confrontare fianco a fianco i suoi effetti sui diversi gruppi di americani con quelli dell’unico grande successo legislativo di Trump durante il suo primo mandato, il TCJA del 2017. Il risultato è questo:” (si veda la figura)
Il Congressional Budget Office (CBO) ha stimato la variazione del reddito disponibile del 10% più povero e del 10% più ricco della popolazione tra il 2027 e il 2033 in seguito al Big Beautiful Bill. I risultati, rappresentati nella figura sotto, sono brutali.
Queste operazioni avranno un costo complessivamente esorbitante per l’amministrazione americana (o meglio per i contribuenti) specie in un contesto di fuga dagli asset americani ed erosione del ruolo di rifugio sicuro globale del dollaro. Secondo stime del Budget Lab di Yale, il Big Beautiful Bill è destinato a far salire il rapporto debito/Pil degli Stati Uniti oltre il 200% nel 2055, superato solo dal Giappone e dal Sudan. L’aumento del debito determinerà un aumento dei tassi d’interesse, costringendo le famiglie a pagare di più per i mutui e rendendo più costosi gli investimenti.
Come ha scritto Pasquale Lucio Scandizzo (che consiglio di seguire su Substack): “La reazione dei mercati alla tregua di 90 giorni sui dazi riflette il principio delle cattive notizie: l’attenzione si concentra sul sollievo momentaneo, trascurando i rischi strutturali — il ritorno dei dazi, la debolezza della domanda, l’incertezza geopolitica e la natura inflazionistica degli stimoli. Le politiche dell'amministrazione hanno generato il problema imponendo i dazi, e ora ne raccolgono consensi sospendendoli temporaneamente. Il rally è psicologico, non strutturale: è sollievo da una ferita inflitta dalla stessa mano che ora offre la benda. Come dopo uno stress, il piacere è reale, ma illusorio. Non è su questo che si fonda una ripresa duratura.”
La tregua commerciale è illusoria. Trump continuerà a infliggere danni esorbitanti all’economia americana e mondiale – a volte con metodo, inseguendo modelli di sviluppo disfunzionali e superati, capaci solo di arricchire una piccola oligarchia, più spesso in modo estemporaneo, guidato da incompetenza e un declino cognitivo sempre più manifesto.
Nota: la vignetta che accompagna il lancio di questo post è di Daniel Boris.
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Il grafico di Justin Wolfers si può riassumere calcisticamente con "zeru tituli"