I campi di concentramento americani
Alligator Alcatraz non è solo il simbolo di una campagna di intimidazione di massa. Serve ad assuefare i cittadini alla ferocia e all’ingiustizia, smantellando gli anticorpi democratici
Ciò che distingue un campo di concentramento da una prigione è che il campo di concentramento è al di fuori di qualsiasi giurisdizione. I prigionieri non sono accusati di alcun reato, né sottoposti a processo. Vengono arrestati, deportati e internati sulla base di un sospetto, delle loro opinioni o della loro stessa identità.
Nel giorno in cui il Big Beautiful Bill – la nuova legge che toglie ai poveri per dare ai super-ricchi – stabiliva un colossale aumento dei fondi destinati all’ICE (Immigration and Customs Enforcement), Donald Trump ha inaugurato il primo campo di concentramento americano. Lo ha chiamato Alligator Alcatraz, promettendo che chiunque tenterà di fuggire sarà sbranato dagli alligatori che vivono a pochi metri dalle gabbie. Il video, diffuso da Benny Johnson - propagandista MAGA già sotto inchiesta per aver ricevuto finanziamenti dai media russi - mostra l’interno del campo, costituito da tendoni montati sulla pista di un vecchio aeroporto dismesso, al centro di una palude infestata da alligatori e serpenti. Il Department of Homeland Security (DHS) ha illustrato così il lager, facendo disegnare a GPT dei coccodrilli con il cappellino dell’ICE.
Immaginate queste gabbie piene di persone, separate dal caldo, dall’umidità e dagli uragani della Florida solo dallo spessore di una tenda. Andrea Pitzer, autrice di One Long Night: A Global History of Concentration Camps (tradotto in italiano da Newton Compton), ha rilevato in Alligator Alcatraz tutte le caratteristiche tipiche dei campi di concentramento: detenzione di massa di civili senza processo né garanzie legali, fondata sull’identità anziché su accuse penali, per un periodo indefinito, senza che sia previsto alcun processo, e con l’obiettivo politico di consolidare il potere.
A margine dell’inaugurazione, Trump ha ribadito che intende usare l’ICE per deportare anche cittadini americani: le “cattive persone”, secondo la sua definizione. E ha minacciato l’arresto di Zohran Mamdani, candidato sindaco a New York, in quanto, a suo dire, immigrato irregolare. Non sono parole sfuggite per caso a una persona annebbiata dal caldo torrido della Florida. È una strategia deliberata, che indica ai dissidenti ciò che il regime, nelle intenzioni, ha in serbo per loro. Stiamo assistendo a una campagna di intimidazione di massa, trasmessa in diretta social e televisiva.
Una campagna iniziata con l’arresto illegale di studenti e ricercatori stranieri, trasferiti in carceri remote senza accuse né processo, e proseguita coi rastrellamenti nei luoghi di lavoro degli immigrati. Il racconto di Kilmar Abrego Garcia, uno dei simboli della prima ondata di arresti, ha offerto un resoconto agghiacciante dei maltrattamenti che subiscono i deportati. Dopo il trasferimento in un carcere nel Tennessee, Garcia ha potuto testimoniare i “pestaggi brutali”, la privazione del sonno, la malnutrizione e altre forme di tortura inflitte dai suoi carcerieri nel lager salvadoregno in cui era stato rinchiuso. L’amministrazione Trump vuole rendere queste deportazioni una sorta di routine.
L’ICE assomiglia sempre più a una sorta di polizia segreta del presidente, che agisce al di fuori di qualsiasi giurisdizione ignorando gli ordini delle corte federali. Il modo in cui Trump brandisce l’ICE per minacciare apertamente Elon Musk, Mamdani e altri tradisce il potere “personale” che il presidente ritiene di avere su questa forza, che sta perdendo ogni connotato istituzionale e sembra sempre più rispondere a logiche extra-legali.
Ma Alligator Alcatraz non è solo il simbolo di una campagna di intimidazione. Diversamente da altri regimi autoritari, quello americano non si preoccupa solo di deumanizzare i prigionieri e i nemici. L’amministrazione Trump promuove attivamente anche la deumanizzazione del potere – e del pubblico. La continua esibizione di “cattivismo” del presidente e della sua milizia – fino all’apertura del lager di Alcatraz – non serve solo a scoraggiare il dissenso. Ha anche lo scopo di cancellare una linea rossa dietro l’altra, per assuefare i cittadini alla ferocia e all’ingiustizia, generare una fame crescente di nuovi eccessi e smantellare gli anticorpi democratici delle persone comuni. Con degli effetti che attraversano i confini: fa tremare il pensiero di quanti, in Italia, si esalterebbero se un leader politico girasse un video tra quelle gabbie, promettendo di rinchiudervi immigrati e dissidenti.
I fondi stanziati dal Big Beautiful Bill renderanno l’ICE il più grande sistema di persecuzione e detenzione del mondo. Come ha scritto Felipe De La Hoz su The New Republic, il provvedimento “porterà all’estremo tutto ciò che abbiamo già visto finora”: la persecuzione di attivisti per le loro idee, agenti incappucciati che trascinano via persone per strada, voli improvvisi verso centri di detenzione segreti.
I regimi autoritari funzionano così. Si comincia col colpire gruppi che non riscuotono le simpatie della maggioranza. Immigrati, ricercatori, simpatizzanti di cause politiche minoritarie. Ignorando gli ordini del potere giudiziario e, anzi, estendendo l’offensiva ai tribunali, con altri mezzi.
Una dopo l'altra, altre minoranze, professioni, gruppi sociali "devianti", seguiranno.
Nell’abbattere i pilastri della società democratica, Trump sta lanciando un avvertimento decisivo al mondo libero: la democrazia non si preserva da sé e va difesa. Abbiamo avuto il privilegio di nascere in società libere, ma non possiamo illuderci che resteranno tali per inerzia.
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Domanderei perché non se ne parli in maniera approfondita qui, invece di ridurre una notizia del genere a una sorta di macchietta o di gag trumpiana.
Non lo si fa probabilmente perché stiamo sempre più perdendo fonti e voci giornalistiche autorevoli, coperte dal rumore di propagande di vario tipo (per cui ringraziamo che esistano spazi di approfondimento come questo del prof. Sabatini ma anche il blog di D'Amico).
E forse perché affrontare questa deriva statunitense implicherebbe una messa in discussione di certezze che consideriamo granitiche e un ragionamento serio sulla fragilità di certi ideali e di come metterli in sicurezza.
Da un lato sono sconvolta per come questo possa succedere senza che scattino dei meccanismi democratici di salvaguardia. Da un lato non lo trovo nemmeno sorprendente, e forse ciò mi sconvolge ancor di più.