Una vittoria per gli oligarchi di Trump
E una sconfitta per tutti gli altri, anche in Europa: le multinazionali americane potranno evitare le tasse nei Paesi in cui realizzano i profitti
Mentre l’opinione pubblica si trastullava commentando gli abiti scelti da Jeff Bezos e Lauren Sánchez per il matrimonio a Venezia (mi sembra di capire che non fossero adeguati, ma non ho controllato personalmente), i “grandi del mondo” offrivano una dimostrazione plastica delle ragioni per cui il patron di Amazon e altri oligarchi americani hanno deciso di puntare tutto su Trump — malgrado i danni colossali che la sua amministrazione sta infliggendo all’economia degli Stati Uniti.
Su impulso del presidente americano, il G7 ha firmato un accordo che consente alle multinazionali USA di eludere la tassazione nei paesi in cui operano, Europa inclusa. Per capire cosa significa, facciamo un passo indietro.
Una lunga battaglia contro l’elusione fiscale
Per decenni, le grandi imprese hanno potuto trasferire i propri utili nei paradisi fiscali, sfruttando le falle dei sistemi tributari nazionali. Questa forma di elusione —legale, ma profondamente iniqua — ha eroso le basi imponibili dei paesi ad alto reddito e svuotato le casse di quelli in via di sviluppo. Il risultato è stato un “sistema fiscale globale” regressivo, in cui piccole imprese e lavoratori finiscono per pagare le tasse che le multinazionali riescono a evitare.
Dopo la crisi finanziaria del 2008, la riforma della fiscalità internazionale è diventata una priorità politica. Nell’ambito del progetto BEPS (Base Erosion and Profit Shifting), coordinato da OCSE e G20, oltre 130 Paesi (tra cui i membri UE, gli Stati Uniti, il Canada e il Giappone) hanno firmato nell’ottobre 2021 un accordo storico per introdurre una Global Minimum Tax del 15% sugli utili delle grandi multinazionali (con fatturato superiore a 750 milioni di euro).
L’accordo prevedeva un’aliquota globale del 15%, da applicarsi anche nei paesi con aliquota inferiore, per impedire il trasferimento dei profitti nei “paradisi fiscali”, ostacolare la corsa al ribasso sulle aliquote d’imposta e contribuire al gettito fiscale (e quindi alla spesa pubblica) dei paesi interessati. Inoltre, i contraenti si impegnavano a implementare l’aliquota in modo coordinato e adottare regole multilaterali contro l’elusione.
Nel dicembre 2022 l’Unione Europea ha approvato la direttiva sulla minimum tax, già recepita da 18 Stati membri, Italia inclusa.
Un regalo alle multinazionali, in cambio di nulla
Il 28 giugno 2025, il G7 ha approvato un nuovo accordo che consente a Stati Uniti e Regno Unito di esentare le proprie multinazionali dalle regole anti-elusione.
Le imprese americane e britanniche non saranno più soggette a tassazione all’estero. In cambio l’Europa non ottiene nulla — se non vaghe promesse di stabilità fiscale e futuri tavoli di dialogo. Trump ha accettato di ritirare dal Big Beautiful Bill (in via di approvazione al Senato) la cosiddetta “revenge tax”, che avrebbe introdotto sanzioni fiscali contro i Paesi che tassano le multinazionali americane. Una minaccia di per sé poco credibile, che difficilmente l'amministrazione sarebbe riuscita a realizzare.
I governi europei più “ingenuamente collaborativi” sperano che questa concessione possa attenuare la guerra commerciale, magari favorendo una riduzione dei dazi. Si tratta di un presupposto negoziale errato, perché i dazi generalizzati di Trump sono armi spuntate che danneggiano anzitutto l’economia statunitense, colpendo in particolare lavoratori e classe media — le stesse categorie che verranno ulteriormente penalizzate dal Big Beautiful Bill.
Per usare le parole di Olivier Blanchard (economista capo del Fondo Monetario Internazionale tra il 2008 e il 2015), “nessuno che abbia a cuore l’interesse pubblico può approvare questo accordo”. I paesi europei hanno concesso un’esenzione sostanziale ai colossi americani, svuotando l’unico tentativo serio di riformare il sistema fiscale internazionale degli ultimi trent’anni. E l’hanno fatto senza ottenere nulla in cambio.
La dissonanza tra la retorica sovranista — che pretende di difendere i cittadini dalle multinazionali — e le azioni concrete — che le multinazionali le premiano, a danno dei cittadini — è surreale. Le implicazioni redistributive sono evidenti: si toglie ai molti per dare ai pochissimi. Secondo le stime, il gettito sarebbe stato compreso tra i 130 e i 270 miliardi di dollari annui, che sarebbe stato possibile impiegare anche per finanziare spese redistributive (per esempio, sanità, istruzione e welfare).
I paesi a basso reddito saranno particolarmente danneggiati dall’accordo. Se, da un lato, un clima fiscale più favorevole può attrarre gli investimenti esteri, bisogna chiedersi in che misura le attività economiche delle multinazionali contribuiscano effettivamente allo sviluppo di questi paesi, o se assumano connotati meramente “estrattivi”, volti allo sfruttamento dei fattori di produzione a basso costo– a partire dal lavoro – senza dare alcun contributo al gettito fiscale.
Una proposta per tassare i super ricchi
Nel frattempo, Pedro Sánchez ha annunciato che Spagna e Brasile guideranno una coalizione per definire nuove regole sulla tassazione dei super-ricchi. Nel 2024, la presidenza brasiliana del G20 ha affidato a Gabriel Zucman (Paris School of Economics e UC Berkeley) l’elaborazione di una proposta concreta – che si può scaricare qui.
Zucman parte da una constatazione empirica: i super-ricchi, in proporzione, pagano meno tasse dei lavoratori comuni, perché i sistemi di tassazione del reddito non riescono a raggiungerli.
Utilizzando holding e altri strumenti, riescono a dichiarare redditi quasi nulli. Questa elusione fiscale genera enormi perdite per i bilanci pubblici e alimenta la disuguaglianza. Le figure, prese dal report di Zucman, mostrano l’aliquota media (sopra) e l’aliquota media della tassazione sul reddito (sotto) in termini percentuali rispetto al reddito pre-tassazione. L’intervallo P0-10 rappresenta il 10% degli adulti più poveri, P10-20 il decile successivo, e così via.
Per affrontare questo fallimento, Zucman propone uno standard minimo globale: i miliardari dovrebbero versare ogni anno almeno il 2% della loro ricchezza in tasse (contro lo ~0,3% attuale). Questa soglia cancellerebbe la regressività ai vertici della distribuzione generando un enorme guadagno per i governi nazionali sotto forma di gettito. Naturalmente, il report esplora anche scenari alternativi con diverse aliquote e soglie.
La proposta non sostituirebbe le politiche fiscali progressive nazionali, ma le rafforzerebbe, migliorando la trasparenza sulla ricchezza estrema, riducendo gli incentivi all’elusione e limitando la concorrenza fiscale tra paesi.
Epilogo
Se siete arrivati fin qui (grazie!), vi propongo un esercizio: contate quante volte il matrimonio di Venezia ha guadagnato le prime pagine dei quotidiani italiani, e quanta attenzione, su quelle stesse pagine, è stata data all’immenso regalo che il governo italiano ha contribuito a confezionare per Bezos e soci. Anche in questo caso ammetto di non aver controllato, ma temo di conoscere la risposta.
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Ragione per cui l'Europa, in cui ho sempre creduto, mi ha inflitto l'ultima (di tante) delusioni, la supina acquiescenza dimostrata verso chi fa la voce grossa, peraltro scavalcando i suoi stessi effettivi poteri, sia in campo economico sia in quello politico, tacendo di fronte ai genocidi in corso. A questo proposito, lo stesso per le Nazioni Unite, non pervenute
Grazie per l'analisi accurata su questo tema, che non ero riuscito a trovare altrove.