Fabio Sabatini
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Zohranomics
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Zohranomics

Le proposte di Zohran Mamdani non sono radicali né rivoluzionarie, ma neanche facili da realizzare o particolarmente incisive. La sua comunicazione, invece, può fare la differenza
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Premessa: questo post non è “solo” un podcast. Per non intasare la casella di posta degli iscritti, ho deciso — ora e ogni volta che il tempo e il tema lo permetteranno — di proporre sia la versione scritta sia l’audio. Insomma, non vi toglierò nulla, anzi cercherò di darvi qualcosa in più (al costo di un po’ di lavoro in più, ma conto sui famosi costi marginali decrescenti). Così ciascuno potrà scegliere liberamente cosa preferisce — senza troppi messaggi e senza perdersi nulla. Solo, tenete conto che il podcast esporrà una versione più snella e semplificata dei miei articoli, mentre la versione scritta, che trovate qui sotto, resterà più dettagliata e completa.

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La vittoria di Zohran Mamdani alle primarie del Partito Democratico per la candidatura a sindaco di New York ha acceso un dibattito non sempre fertile e troppo spesso caricaturale. Ho letto liberali di sinistra liquidare in modo sprezzante e poco argomentato le proposte di Mamdani, criticando più che altro il suo retaggio culturale e familiare.

Tuttavia, non si può ignorare che il successo di questo giovane candidato, così lontano dagli stereotipi della politica americana (e occidentale in generale), sia uno dei rari segni di vitalità provenienti dal frammentato fronte anti-autoritario, ancora immerso in un clima di disfattismo e fuga dalla realtà. Va riconosciuto anche che Mamdani ha messo in campo una strategia di comunicazione promettente, potenzialmente capace di reggere il confronto con un regime che controlla saldamente media e dibattito pubblico, e che ha raccolto un consenso più trasversale di quanto si possa immaginare.

Insomma, piaccia o meno, Mamdani va preso sul serio. Penso quindi che valga la pena iniziare a guardare alle sue proposte di politica economica con attenzione, invece di esaltarle o bocciarle a priori, facendosi trascinare dalle dinamiche di polarizzazione che dominano la nostra esperienza sui social e, sempre più spesso, la nostra partecipazione politica tout court.

Prima di continuare, è necessario un disclaimer. Prendere sul serio non significa prendere posizione. Le reazioni al mio primo post su Mamdani — peraltro piuttosto neutrale — sono state molto polarizzate. Diversi commentatori mi hanno accusato, più o meno esplicitamente, di essere antisemita o comunista solo per averne parlato, oppure hanno scritto commenti caricaturali (su Mamdani o sull’autore, cioè il sottoscritto) senza neppure leggere il testo. Sono grato a chiunque si prenda la briga di considerare i miei post, ma spero che questa volta gli eventuali commenti si concentreranno sul contenuto. In ogni caso, so già che questo post mi farà perdere qualche simpatia. Pazienza. Preoccuparsi di piacere a tutti – o a qualcuno – è il modo migliore per perdere l’indipendenza.

I commenti critici più credibili sull’ascesa di Mamdani si concentrano sulla sua piattaforma programmatica, che promette agli elettori di rendere New York City meno cara attraverso interventi piccoli ma significativi. Analizzare ogni punto del programma in un solo articolo è impossibile; per questo, nelle righe che seguono comincerò da tre tra i più discussi: il tetto agli affitti, i supermercati comunali e il trasporto pubblico gratuito.

Un tetto agli affitti

Mamdani propone di congelare il canone di circa un milione di immobili in locazione. La regolamentazione degli affitti rientra in larga misura nelle competenze del sindaco, che agisce attraverso una commissione di nove membri nominati direttamente dal primo cittadino.

Non si tratta di un’idea nuova. Solo nell’ultimo decennio — durante il mandato di Bill de Blasio— la commissione ha congelato gli affitti in tre occasioni, nel 2015, nel 2016 e nel 2020. Come nel caso di De Blasio, la proposta di Mamdani non implica un congelamento permanente. L’idea è bloccare temporaneamente i canoni per permettere agli inquilini di recuperare terreno rispetto all’aumento del costo della vita – mentre l’amministrazione comunale si adopera per espandere l’offerta abitativa.

Lawrence Summers, già segretario al Tesoro nell’amministrazione Clinton ed ex rettore di Harvard, ha definito così la proposta: “il miglior modo per distruggere una città, dopo i bombardamenti.” Su cosa si basa un giudizio così perentorio?

Quando aumenta la domanda di abitazioni, i canoni salgono e il mercato degli affitti si stabilizza su un prezzo più alto, perché l’offerta di alloggi è relativamente rigida, almeno nel breve periodo: costruire (o liberare) nuove case richiede tempo e, spesso, nelle aree centrali delle grandi città, è semplicemente impossibile.

Immaginiamo che, per rendere i canoni più accessibili, le autorità comunali impongano un tetto agli affitti inferiore al prezzo di mercato. In una città ad altissima densità di popolazione – e con una grande forza di attrazione – un affitto inferiore al prezzo di mercato attrae un numero elevato di potenziali inquilini, determinando un eccesso di domanda. A parità di condizioni, la quantità offerta resterà a lungo inferiore a quella domandata, perché dal punto di vista dei proprietari il costo di mettere a disposizione l’alloggio potrebbe risultare troppo elevato rispetto al prezzo calmierato.

Le persone che non riescono a trovare un appartamento da affittare sarebbero, in molti casi, disposte a pagare un canone più alto rispetto a quello fissato dall’amministrazione comunale, ma formalmente non possono offrire ai proprietari un prezzo più elevato (né questi ultimi possono chiederlo). D’altro canto, non è detto che la quantità limitata (rispetto alla domanda) di persone che si aggiudica un alloggio a canone calmierato sia composta dai più bisognosi. Può benissimo accadere che a ottenere l’appartamento siano individui con redditi alti, che potrebbero permettersi di pagare di più.

Si apre inevitabilmente lo spazio per un “mercato secondario”, quello del subaffitto, ancora più difficile da controllare per le autorità. Un inquilino potrebbe subaffittare l’alloggio a un prezzo più elevato, ricavandone una rendita. Il subaffitto è talvolta illegale (a New York è consentito, ancorché nel rispetto di determinate condizioni), ma molto difficile da monitorare e regolamentare – per esempio stabilendo un tetto anche ai subaffitti. Basti pensare a quanto avviene nelle zone “universitarie” di qualsiasi città italiana.

La stabilizzazione dei canoni di affitto al di sotto dei prezzi di mercato può comportare quindi la cronicizzazione dell’eccesso di domanda e lo sviluppo di un mercato secondario incontrollabile, in cui i potenziali inquilini si trovano, paradossalmente, in condizioni peggiori. In altre parole, questo tipo di intervento non tutela davvero i più deboli.

Il modo più efficace per calmierare gli affitti, invece, è espandere l’offerta. Questa azione si può concretizzare nella costruzione di nuove abitazioni oppure, dove ciò non sia possibile, creando incentivi affinché i proprietari mettano a disposizione gli alloggi vuoti. Un intervento che a prima vista sembra favorevole ai proprietari può, in modo controintuitivo, rivelarsi il mezzo più efficace per aiutare gli inquilini.

Tuttavia, per farsi un’idea completa della proposta di Mamdani, bisogna tenere presente che non si tratta di una boutade estemporanea, ma di una misura inserita in un progetto più ampio volto a stimolare gli investimenti nel settore abitativo. Anzitutto, non si propone una diminuzione del canone al di sotto del prezzo di mercato ma il suo congelamento (presumibilmente all’attuale prezzo di mercato). A questa proposta si affianca l’obiettivo di costruire 200.000 nuove unità abitative nei prossimi dieci anni - che è proprio il modo migliore per abbassare i canoni di affitto – una modifica delle leggi urbanistiche e il ridimensionamento della burocrazia per accelerare le procedure.

In conclusione, ha ragione Summers nel sostenere che la proposta di Mamdani avrebbe lo stesso effetto di un bombardamento? No, è un’esagerazione retorica e New York non rischia certo la distruzione. Per la città sono ben più preoccupanti i danni che potrebbero infliggere all’economia i raid dell’ICE. Tuttavia, la proposta del candidato sindaco presenta controindicazioni e rischi significativi nel breve periodo (cioè nell’attesa che le nuove abitazioni vengano effettivamente costruite), è complessivamente difficile da realizzare e ha esiti incerti nel lungo termine. Tutto dipenderebbe dalla capacità concreta di portare davvero a termine la costruzione di queste 200.000 nuove case in un tempo relativamente limitato.

I supermercati comunali

Dall’inizio della pandemia, i consumatori americani, e in particolare quelli newyorkesi, hanno visto aumentare in modo significativo i prezzi dei generi alimentari acquistati al supermercato. È molto comune che i leader politici cerchino di attribuire a qualcuno la colpa degli aumenti dei prezzi.

Tuttavia, l’evidenza empirica suggerisce che la grande distribuzione abbia responsabilità molto limitate. Dal 2020, i margini di profitto dei supermercati sono per lo più diminuiti. Inoltre, questi negozi subiscono l’inflazione tanto quanto i consumatori. Una ricerca della Fed di New York ha mostrato che l’aumento dei prezzi nei supermercati è stato causato dal rincaro delle materie prime e dall’aumento dei salari, non da miglioramenti nei margini di profitto.

I supermercati affrontano alcuni problemi simili a quelli degli inquilini: pagano affitti elevati e devono sostenere costi elevati per i servizi – che si riflettono sui prezzi degli articoli in vendita. Se l’amministrazione comunale garantisse costi limitati a determinati esercizi— per esempio mettendo a disposizione locali pubblici per la vendita — i prezzi al dettaglio stabiliti da questi negozi potrebbero effettivamente ridursi.

Mamdani propone di lanciare un programma pilota per aprire un supermercato comunale in ogni distretto della città, con l’obiettivo di migliorare l’accesso a generi alimentari a basso costo — soprattutto nei cosiddetti food deserts, aree prive di supermercati o strutture simili. Secondo il candidato sindaco, questi esercizi dovrebbero operare su base non profit, acquistando e vendendo a prezzi all’ingrosso; essere collocati su terreni di proprietà comunale, per evitare costi d’affitto ricorrenti; e sostenere costi di trasporto limitati grazie a una logistica centralizzata e all’approvvigionamento da quartieri locali.

Il primo dubbio che sorge è se abbia davvero senso vendere a prezzi ridotti senza espandere significativamente l’offerta. Anche in questo caso, come per gli affitti, si genererebbe un eccesso di domanda che potrebbe finire per escludere dalla fruizione dei beni a prezzi ridotti proprio le persone più bisognose, senza contare il rischio concreto della nascita di un mercato secondario anche per i generi alimentari.

Inoltre, si creerebbe competizione con gli esercizi privati, che rischierebbero di essere spiazzati nel caso (molto improbabile) in cui l’offerta pubblica raggiungesse dimensioni significative. In uno scenario del genere, il problema sarebbe serio, perché i margini della distribuzione alimentare sono già estremamente bassi e i privati potrebbero essere espulsi dal mercato.

Per capire meglio le potenziali conseguenze della proposta di Mamdani, bisogna considerare che, per il momento, è assai meno radicale di quanto possa sembrare. Mamdani intende concentrare i pochi supermercati previsti (inizialmente cinque) nei food deserts delle zone più povere della città. In questo modo, a beneficiarne sarebbero più probabilmente le persone bisognose, mentre la concorrenza alle iniziative private risulterebbe molto contenuta. Se da un lato questo aspetto attenua le controindicazioni della proposta, dall’altro ne ridimensiona significativamente le potenzialità. di certo non si tratterebbe di nulla di rivoluzionario, né tanto meno decisivo in termini di contenimento dell’inflazione.

Il trasporto pubblico gratuito

La letteratura economica ha messo in evidenza numerosi aspetti positivi dell’offerta gratuita di trasporto pubblico, spesso sulla base di esperimenti randomizzati. Tra i potenziali benefici ci sono gli effetti redistributivi – che, nella misura in cui il trasporto pubblico viene usato dalle classi meno abbienti, migliorano l’equità – la riduzione dell’inquinamento da polveri sottili e delle emissioni di gas serra, e la diminuzione della congestione stradale. Questi benefici devono essere confrontati con i costi di produzione, interamente a carico del settore pubblico.

La possibilità di introdurre trasporti pubblici gratuiti non è nuova nel dibattito di policy. Per esempio, la Spagna ha iniziato a offrire viaggi ferroviari gratuiti su una selezione di tratte, con l’obiettivo di sussidiare i pendolari. In Germania e Austria sono stati introdotti abbonamenti mensile – o biglietti quotidiani – a prezzo agevolato, mentre in Irlanda le tariffe sono state ridotte per la prima volta in settantacinque anni. Lussemburgo ed Estonia hanno abolito i titoli di viaggio già da diversi anni per disincentivare l’uso dei mezzi privati e ridurre le emissioni.

Mamdani propone di “Eliminare in modo permanente il costo del biglietto su tutti gli autobus cittadini — e renderli più veloci realizzando rapidamente corsie preferenziali, ampliando i semafori con priorità per gli autobus e creando aree di carico e scarico dedicate per evitare intralci da parte delle auto in doppia fila”.

Il problema principale è che queste misure, di per sé, non bastano. Un trasporto pubblico universalmente gratuito è destinato a far aumentare significativamente la domanda. Per evitare congestione e un calo drastico della qualità del servizio, sono necessari investimenti ingenti, per esempio per comprare nuovi bus e treni della metro, costruire nuovi depositi, assumere autisti.

Per un’amministrazione comunale, che non ha la possibilità di emettere debito pubblico, un aumento significativo della spesa richiede trasferimenti dal governo federale o un incremento delle entrate fiscali. Tuttavia, il sindaco di New York ha margini di manovra solo su alcuni tipi di imposte, come quelle sulla proprietà, che sarebbe preferibile non toccare per non aggravare ulteriormente il costo degli affitti. In sintesi, la proposta di Mamdani richiederebbe un’opera di efficientamento estremamente raffinata e non sarebbe semplice da realizzare senza una collaborazione strutturale con lo Stato di New York e il governo federale.

Epilogo

Queste poche righe non sono certo esaustive, ma sono già troppe per un post su Substack. Quindi, per ora, mi fermo qui. Se vi interessa (fatemi sapere), potrebbero seguire altri approfondimenti, per esempio sulle proposte di tassare i milionari e offrire scuole materne gratuite.

La sensazione generale che si trae da queste considerazioni, per ora limitate a tre punti chiave del programma, è che la piattaforma di Mamdani non sia né irrealizzabile né rivoluzionaria, ma certamente difficile da realizzare e, probabilmente, meno incisiva di quanto si speri o si tema. È plausibile che la novità più significativa della sua candidatura risieda non tanto nelle proposte di policy, quanto nell’atipicità del candidato, nel suo stile comunicativo e nella capacità di proporre un’alternativa politica all’autoritarismo che non si limiti a criticare l’autoritarismo stesso o i suoi interpreti, ma punti a offrire una visione di comunità e di futuro criticabile quanto si vuole, ma centrata su problemi concreti e, a quanto pare, capace di attrarre gli elettori.

Non è una novità trascurabile, di questi tempi e considerata la narcolessia che sembra aver colpito una parte rilevante del fronte anti-autoritario, negli Stati Uniti e altrove.

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